Gli andamenti di lungo periodo dell’economia italiana

aggiornato a novembre 2022

Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica ha ritenuto di mettere a disposizione dei cittadini uno strumento di lettura delle trasformazioni economiche che il paese sta affrontando sulla base delle cifre di lungo periodo. Questo esercizio permette di cogliere l’evoluzione nel tempo della situazione italiana presentando alcuni grafici sui principali indicatori economici dell’economia italiana dal 2000 ad oggi, in alcuni casi dal 1990 o da altre date, confrontati con l’andamento medio europeo.

Questi dati vengono associati alle previsioni e agli obiettivi quantitativi del Governo, in particolare per quanto riguarda la crescita economica, l’indebitamento netto e il debito pubblico, individuati nel Documento di economia e finanza (DEF) o dalla relativa nota di aggiornamento (NADEF).

I grafici sono stati elaborati utilizzando dati pubblici di organismi ufficiali nazionali e internazionali (Istat-Eurostat, Banca d’Italia, OCSE, FMI). L’aggiornamento sarà periodico.

1 Prodotto Interno Lordo

2 Finanza pubblica

3 Prezzi

4 Occupazione

5 Commercio con l’estero

6 Investimenti, risparmio e patrimonio

7 Reddito pro capite e povertà

8 Economia reale

9 Popolazione

1 Prodotto Interno Lordo

Tasso di crescita del PIL reale

Il tasso di crescita italiano ha toccato il picco del 3,7% nel 2000, subendo successivamente un calo più pronunciato rispetto a quello della media dell’UE27, pur rimanendo positivo fino al 2007. Si sono poi verificate due fasi durante le quali il PIL è diminuito in valore assoluto, nel 2008-2009 e nel 2012-13 e nel 2020 ed è cresciuto del 6,7% nel 2021.

1.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat, Istat, Commissione europea e per l’Italia sui dati programmatici del NADEF di novembre 2022.

Nota esplicativa: Il dato è riferito al tasso di crescita del Prodotto interno lordo (PIL) dell’Italia e a quello medio dell’Unione europea. Per il 2022-2025 è indicato il dato programmatico del NADEF di novembre 2022 e delle previsioni della Commissione europea dell’estate 2022.

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Livello del PIL italiano

Il livello del PIL italiano, misurato su base trimestrale, ha conosciuto una fase di crescita dal 2000 fino al primo trimestre del 2008, pur con una fase di ristagno dal secondo trimestre 2001 al secondo trimestre 2003. Dal secondo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2009 si è concretizzata la più intensa fase di crollo del PIL dal dopoguerra ad oggi, seguita da una ripresa dal terzo trimestre 2009 al secondo trimestre 2011. Dal terzo trimestre 2011, il PIL ha subito un ulteriore forte calo, e dal secondo trimestre 2013 si è stabilizzato per poi ha ricominciare a crescere nel 2015-2018 e nel 2020 sta subendo gli effetti della pandemia di Covid-19, con un crollo nei primi due trimestri dell’anno e una ripresa nel terzo trimestre e con la seconda ondata della pandemia dei cali più limitati del PIL a cavallo della fine del 2020 e una nuova forte ripresa nel 2021-2022, che ha portato nel secondo trimestre del 2022 a superare i livelli massimi trimestrali di PIL preCovid.1.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico illustra l’andamento del Prodotto interno lordo italiano reale, cioè espresso in milioni di euro a prezzi costanti del 2015. I dati trimestrali sono stati destagionalizzati per il ciclo economico.

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Produzione industriale

La produzione industriale italiana aveva mostrato una tendenza a un moderato calo nel 2000-2005, seguito da una fase di crescita nel 2005-2008, con trend di crescita più limitato rispetto alla media della zona euro. Dalla metà del 2008 fino ad aprile 2009 la produzione industriale è crollata da un massimo di 106 ad un minimo di 78, analogamente a quanto accaduto in tutto il mondo con la crisi finanziaria internazionale. Dalla seconda metà del 2009 alla metà del 2011 la produzione industriale ha recuperato circa il 40% di quanto aveva perso, tornando successivamente a calare. Nel 2014 è ricominciata una fase di crescita della produzione industriale, durata fino alla fine del 2017. Nel 2020 e 2021 ha subito gli effetti della pandemia di Covid-19 ma ha metà 2021 ha recuperati i livelli di produzione mensile simili a quelli prePandemia.

1.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati OCSE.

Nota esplicativa: L’indice della produzione industriale misura la variazione nel tempo del volume fisico della produzione effettuata dall’industria in senso stretto (ovvero con esclusione delle costruzioni). Le serie sono state calcolate prendendo come base il primo mese del 2000, posto uguale a 100, con dati mensili OCSE.

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Vendite al dettaglio

L’indice delle vendite del commercio al dettaglio mostra un significativo aumento del valore delle vendite di beni alimentari dal 2000 al 2008, seguita da calo o stagnazione tra il 2008 e il 2014, e da una crescita moderata a partire dal 2015, che non è stata interrotta dalla crisi economica provocata dal Covid. Al contrario le vendite al dettaglio di beni non alimentari hanno oscillato senza aumentare o diminuire significativamente tra il 2003 e il 2011, calando significativamente durante la crisi economica tra il 2011 e il 2014, con una modesta ripresa successiva. Nel 2020 l’impatto del Covid e del lockdown hanno più che dimezzato l’indice delle vendite per un breve periodo culminato ad aprile 2020, ma che sono tornate già ad agosto 2020 oltre il livello precedente il Covid, per poi subire gli effetti più limitati della seconda ondata. A metà 2021 il livello medio è tornato a livelli pre pandemia in media, ma con una composizione più favorevole al settore alimentare rispetto al pre pandemia1.4

Nota esplicativa: L’indice della delle vendite del commercio al dettaglio misura la variazione nel tempo del valore delle vendite nel settore alimentare e in quello non alimentare, oltre a indicare la media totale su tutte le tipologie di beni di consumo. Le serie sono state calcolate prendendo come base il 2015, posto uguale a 100, con dati mensili destagionalizzati OCSE.

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2 Finanza pubblica

Deficit pubblico

L’indebitamento netto italiano, espresso in % del Pil, mostra, fino al 2008, un livello superiore a quello medio Ue 27. Successivamente, a seguito dell’impatto della crisi internazionale del 2008, l’indebitamento netto italiano è cresciuto significativamente meno della media europea ed è sceso al di sotto del livello medio UE. Il deficit pubblico italiano si è ridotto dal 5,3% nel 2009 all’1,6% nel 2019, mentre, dopo l’impennata provocata dalla pandemia di Covid-19, per il 2022 è attesa una riduzione dell’indebitamento programmatico netto italiano al 5,6% del PIL, seguita da una ulteriore progressiva riduzione al 3% nel 2025.2.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat, Istat e sui dati programmatici del NADEF di novembre 2022 e della Commissione europea sul 2021.

Nota esplicativa: Il dato è riferito al consuntivo dell’indebitamento netto italiano (flusso annuo), conosciuto più genericamente come “deficit pubblico”, calcolato in base agli accordi europei. Il dato Eurostat, relativo all’Italia e alla media dei paesi UE, è espresso in percentuale del Prodotto interno lordo. Per il 2022-2025 sono indicati i dati programmatici del NADEF di novembre 2022.

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Debito pubblico

Il debito pubblico italiano in percentuale del PIL tra il 2000 ed il 2007 si è ridotto dal 105,1% al 99,7% del PIL, pur rimando a un livello più elevato di quello della media UE. A partire dal 2008 il debito ha ripreso a crescere, ma con un trend meno veloce rispetto alla media Ue fino al 2011. Dal 2014 il rapporto debito/PIL si è stabilizzato ma è salito fortemente nel 2020, a causa della pandemia. Il sostegno finanziario ad altri paesi in difficoltà nell’area euro ha comportato un aumento temporaneo del debito di oltre tre punti di PIL. Il NADEF prevede che il rapporto debito/PIL al lordo dei sostegni ad altri paesi si riduca dal 154,9% del 2020 al 145,7% nel 2022 e al 141,2% del 2025.2.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia, Istat e dati programmatici del NADEF di novembre 2022.

Nota esplicativa: Il dato è riferito al consuntivo del debito pubblico italiano (stock accumulato nel corso del tempo). Il dato Banca d’Italia, relativo all’Italia e alla media della zona euro, è espresso in percentuale del Prodotto interno lordo. Per il 2022-2025 sono indicati i dati programmatici del NADEF di novembre 2022.

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Spesa pubblica

La spesa pubblica totale in percentuale del PIL e di quella al netto degli interessi passivi e degli investimenti sono caratterizzate da un trend nettamente calante dal 1993 al 2000 e crescente dal 2000 al 2009. Il picco massimo della spesa totale viene raggiunto nel 2009 con una percentuale sul PIL pari al 51,1% per poi calare sotto il 49%. Come conseguenza del Covid-19 il la spesa totale è salita al 57,3% del PIL nel 2020, e viene prevista la riduzione al 54,1% nel 2022 e al 50,6% nel 2025.2.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat, Banca d’Italia e dati a legislazione vigente del NADEF di novembre 2022.

Nota esplicativa: La spesa delle Amministrazioni pubbliche viene presentata sia nel suo complesso che al netto del pagamento di interessi passivi sul debito pubblico e della spesa in conto capitale (spesa corrente primaria).

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Prestazioni sociali, pensioni e lavoro dipendente della PA

Dagli anni ’80 ai nostri giorni la spesa per i redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione e quella per prestazioni sociali sono andate divergendo. I redditi da lavoro dipendente mostrano un trend leggermente decrescente. Raggiungono il loro picco massimo nel 1990 con il 12,2% del PIL per poi scendere a un minimo del 10,1% del PIL nel 2000, risalendo all’10,9% del PIL nel 2009 per poi calare nuovamente. Diversamente dai redditi la spesa per prestazioni sociali (che è composta per quasi l’80% da spesa pensionistica) è cresciuta a un ritmo elevato: nel 1980 era poco superiore alla spesa per redditi da lavoro dipendente nella PA (12,3 % del PIL) ed ha conosciuto una forte crescita superando il 20% del PIL, in parallelo all’invecchiamento della popolazione, con l’eccezione di una fase di stabilizzazione nel decennio successivo al 1994. Uno degli effetti della pandemia Covid-19 è stato il temporaneo aumento delle spese per prestazioni sociali non in natura al 24,1% del PIL nel 2020 e viene prevista poi una riduzione fino al 21,6% nel 2025.  2.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat, Eurostat, Banca d’Italia e a legislazione vigente NADEF di novembre 2022.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione in % del PIL della spesa per redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione e la spesa per prestazioni sociali in denaro, di cui la spesa per pensioni (incluse quelle indennitarie e assistenziali) costituisce la componente più consistente.

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3 Prezzi

Inflazione

Il tasso di inflazione della zona Euro e quello italiano sono rimasti sostanzialmente stabili, oscillando attorno al 2% e non superando il 3% tra il 2000 e il 2007. Da allora vari shock hanno provocato due fasi di forte aumento e due fasi di forte calo del tasso d’inflazione. Sono legate in parte alle fluttuazioni del prezzo del petrolio (cresciuto fino a metà del 2008, crollato poi fino a metà del 2009, poi nuovamente in forte aumento, con un nuovo crollo nella seconda metà del 2014). Le due recessioni del 2008-2009 e 2012-2014 hanno ulteriormente contribuito ad abbassare l’inflazione vicino allo zero sia nel 2009 che nel 2014. Da maggio 2013 a ottobre 2014 l’Italia ha un tasso di inflazione leggermente inferiore alla media UE, dopo un lungo periodo nel quale era stato maggiore. Dalla fine del 2016 l’inflazione ricomincia a salire, anche grazie al quantitative easing della Banca Centrale Europea, raggiungendo il 2% nella zona euro ad aprile 2017. Successivamente l’inflazione ha ripreso a calare, tornando negativa nel 2020, per poi rimbalzare nel 2021 con la ripresa successiva al processo di vaccinazione della popolazione, toccando a settembre 2022 il 9,5% in Italia e il 10% nella zona euro.3.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat.

Nota esplicativa: Il grafico presenta, per ogni mese, l’indice armonizzato della variazione dei prezzi al consumo per l’intera collettività, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le due serie illustrano il dato italiano e la media della zona euro.

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Prezzi alla produzione

I prezzi industriali alla produzione sono caratterizzati da oscillazioni molto più ampie rispetto a quelle dei prezzi al consumo, con un margine di oscillazione di circa 15 punti (tra un aumento massimo dei prezzi alla produzione del 7,7% a luglio 2008 e un calo massimo del 7,6% a luglio del 2009). Tali oscillazioni hanno comportato periodi di calo annualizzato dei prezzi alla produzione di 10-12 mesi in Italia e nella zona euro nel 2001-2002, di 2-3 mesi nel 2004, di 12 mesi nel 2009 e di 24-23 mesi a partire da marzo 2013. La fase di calo dei prezzi alla produzione tra il 2013 e il 2016 è stata la più duratura degli ultimi quindici anni ed era più intensa in Italia che nella zona euro. Dalla seconda metà del 2016 il calo dei prezzi è stato sostituito da un consistente aumento dei prezzi alla produzione, anche per effetto dell’incremento dei prezzi petroliferi, tornando tuttavia a calare dal 2019. Solo ad inizio 2021 i prezzi alla produzione hanno cominciato nuovamente ad aumentare, superando il 40,1% su base annuale a settembre del 2022.3.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat.

Nota esplicativa: Il grafico presenta l’andamento dei prezzi alla produzione dei prodotti dell’industria in senso stretto (escluse le costruzioni), riportando le variazioni per ogni mese rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Vengono confrontati il dato italiano e la media della zona euro a 19 membri.

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4 Occupazione

Tasso di occupazione

I tassi di occupazione italiano e della zona euro sono aumentati entrambi fino alla crisi del 2008 (dal 57,4% al 63% per l’Italia e dal 65,5% al 70,2% per la zona euro). Successivamente, nel 2008-2013, il tasso di occupazione è calato sensibilmente per entrambe le aree, pur senza perdere tutti i guadagni del periodo precedente (dal 63% al 59,8% per l’Italia e dal 70,2% al 67,7% per la zona euro). Fino al 2008 l’Italia era caratterizzata da una fase di lenta ma continua convergenza verso il tasso di occupazione medio della zona euro, convergenza che si è fermata dopo il 2008. Dal 2014 è tornato a crescere il tasso di occupazione medio sia in Italia che nella zona euro, fino all’interruzione nel 2020, dovuta al Covid, con un parziale recupero nel 2021.

4.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat.

Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di occupazione (pari al numero di occupati di età compresa tra i 20 e i 64 anni diviso per la popolazione residente della medesima fascia di età) in Italia e nella zona euro a 19 membri. I dati sono la media annuale calcolata da Eurostat. La fascia d’età considerata è in linea con l’indicatore corrispondente nella Strategia Europa 2020.

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Tasso di disoccupazione

Dal 2000 al 2007 il tasso di disoccupazione italiano si è quasi dimezzato (dal 10,6% al 5,8%) scendendo sotto la media della zona euro. Successivamente, l’impatto della prima recessione ha portato a un aumento della disoccupazione in Italia, aumento tuttavia meno consistente rispetto alla media della zona euro. La seconda recessione invece ha avuto un impatto molto più forte in Italia che non in Europa (il tasso di disoccupazione in Italia è aumentato di 5,4 punti, passando dal 7,8% di aprile 2011 al 13% di novembre 2014, mentre la media della zona euro è aumentata nello stesso periodo solo di 1,7 punti, dal 9,8% all’11,5%). A partire dalla fine del 2014 il tasso di disoccupazione ha cominciato a calare, ma meno velocemente della media UE, anche a causa di un nuovo ingresso nel mercato del lavoro di persone precedentemente inattive (non occupate ma non attivamente in cerca di lavoro). Nel 2020 la pandemia ha causato forti oscillazioni del tasso di disoccupazione, che nell’estate 2021 è tornato sotto il livello pre pandemia, toccando in Italia nell’agosto 2022 il 7,8% il livello più basso dal 2009.

4.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat.

Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di disoccupazione destagionalizzato, che è pari al numero di disoccupati che hanno cercato attivamente lavoro nel periodo precedente l’indagine diviso per il numero di componenti della forza lavoro (a sua volta pari al numero di occupati più il numero di persone in cerca di lavoro). Il dato utilizzato, relativo all’Italia e alla zona euro, è calcolato su base mensile da Eurostat.

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Tasso di disoccupazione giovanile

più consistente rispetto alla media degli occupati tra i 15 ed i 64 anni. La seconda recessione ha avuto anch’essa un impatto molto più forte per i giovani tra i 15 ed i 24 anni che per l’insieme degli occupati. Il tasso di disoccupazione giovanile ha cominciato a calare nel 2014, leggermente prima e con maggiore intensità rispetto al tasso di disoccupazione complessivo (dal un picco del 43,6% al 21,1% di agosto 2022, rispetto ad un calo dal 13% al 7,8%), pur rimanendo ad un livello molto più elevato. Con la pandemia i tassi hanno oscillato fortemente, con un maggiore fluttuazione del tasso di disoccupazione giovanile rispetto a quello complessivo.4.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT

Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di disoccupazione percentuale destagionalizzato in Italia per i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni e per l’insieme della popolazione di età compresa tra 15 e 64 anni, che è pari al numero di disoccupati che hanno cercato attivamente lavoro nel periodo precedente l’indagine diviso per il numero di componenti della forza lavoro (a sua volta pari al numero di occupati più il numero di persone in cerca di lavoro). Essendo il tasso di disoccupazione giovanile pari a circa tre volte quello complessivo, le due scale utilizzate per confrontare i due tassi sono rappresentate graficamente su basi diverse, con un rapporto di tre a uno. Il dato utilizzato, relativo all’Italia è calcolato su base mensile da ISTAT.

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Tasso di disoccupazione per sesso

Per tutto il periodo osservato il tasso di disoccupazione maschile è stato più basso di quello femminile, ma con una tendenza alla riduzione di tale divario, che era di oltre 6 punti percentuali nel 1993, ridottisi a 2 punti nel 2018. Dal 2015 vi è stato un leggero aumento del differenziale tra tasso di disoccupazione femminile e maschile. L’andamento del tasso di disoccupazione segue l’andamento generale dell’economia italiana per entrambi i sessi, con una riduzione della disoccupazione tra il 1997 e il 2007 e dal 2014 ad oggi e invece un aumento nel 1992-95 e nel 2007-14.

4.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT.

Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di disoccupazione destagionalizzato per la fascia di età tra i 15 ed i 64 anni, relativo a maschi e femmine, sull’insieme del territorio nazionale.

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Tasso di disoccupazione per distribuzione geografica

Il tasso di disoccupazione risulta significativamente più alto nel Mezzogiorno rispetto al resto del paese per tutto il periodo esaminato (1992-2018), mentre il tasso di disoccupazione risulta leggermente più basso nel Nord rispetto al Centro Italia. L’andamento del tasso di disoccupazione segue l’andamento generale dell’economia italiana per tutte le grandi aree del paese, pur con intensità differente, con una riduzione della disoccupazione tra il 1997 e il 2007 e dal 2014 ad oggi e invece un aumento nel 1992-95 e nel 2007-14.

4.5 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT.

Nota esplicativa: Il grafico presenta il tasso di disoccupazione destagionalizzato per la fascia di età oltre i 15 anni, relativo a Nord, Centro, Mezzogiorno e media nazionale italiana. Vengono usati i dati trimestrali Istat.

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Livello di occupazione

Il numero di occupati è cresciuto di oltre 2 milioni dall’inizio del 2000 al secondo trimestre del 2008. Con la crisi del 2008-2009 il numero di occupati si è ridotto di circa 600.000 unità tra il secondo trimestre del 2008 e il secondo trimestre del 2010. La ripresa economica del 2010-11 ha portato ad un leggero recupero fino al primo trimestre del 2012. Da allora, fino al quarto trimestre 2013, con la seconda recessione, vengono persi ulteriori 450.000 posti di lavoro. L’occupazione ha ripreso a crescere nel 2014 ed ha superato nel 2018 il livello massimo raggiunto prima della crisi. Nel 2020 sta subendo gli effetti della pandemia di Covid-19, mentre nel 2021 e 2022 si è realizzata una forte ripresa del numero di occupati, tornato poco sotto i livelli pre-crisi.4.6 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico presenta il numero assoluto destagionalizzato di occupati di 15 anni e oltre in Italia. Il dato utilizzato, relativo all’Italia, è calcolato su base mensile dall’Istat.

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5 Commercio con l’estero

Esportazioni e importazioni

Sia le esportazioni che le importazioni sono cresciute velocemente tra il 2003 ed il 2008 (quasi 50% in più cumulato in valore nominale). Con la prima recessione tra il 2008 e il 2009, sono entrambe temporaneamente crollate per la paralisi dei mercati internazionali, riprendendosi velocemente a partire dalla seconda metà del 2009, con una ripresa più forte per le importazioni. La seconda recessione dal 2011 è invece caratterizzata da una riduzione delle importazioni a causa della compressione dei consumi interni, mentre le esportazioni hanno continuato a crescere, anche se sempre più lentamente, generando un consistente surplus della Bilancia commerciale per la prima volta dall’inizio degli anni duemila. Nel 2020 ha subito gli effetti della pandemia di Covid-19, con un fortissimo calo di esportazioni e importazioni seguito da una ripresa molto forte dopo la fine del confinamento. Dalla seconda metà del 2021 l’aumento dei prezzi delle materie prime importate ha prodotto un aumento fortissimo delle importazioni, passata da circa 35 miliardi pre-Covid a oltre 58 miliardi a luglio 2022, solo parzialmente compensato dal forte aumento delle esportazioni.5.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico riporta l’evoluzione delle importazioni e delle esportazioni italiane di merci da e verso tutto il mondo, valutate a prezzi correnti. I dati mensili sono espressi in milioni di euro a prezzi correnti, destagionalizzati dall’Istat.

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Bilancia commerciale

Il saldo della Bilancia commerciale era in pareggio o in surplus fino al 2005. Successivamente l’Italia ha sperimentato un peggioramento del saldo fino ad un deficit massimo di 4 miliardi di euro nel mese di dicembre 2010. A seguito della nuova recessione, della contrazione dei consumi interni e dunque delle importazioni si è svolto un processo di riaggiustamento che ha ridotto molto rapidamente il deficit commerciale trasformandolo nella primavera del 2012 in un surplus consistente attorno a 4 miliardi di euro al mese, ulteriormente aumentato negli anni successivi fino ad oltre 6 miliardi di euro al mese. Nel 2020 sta subendo gli effetti della pandemia di Covid-19, ma dopo una brevissima fase di deficit il saldo della bilancia commerciale è tornato a livelli consistenti. L’aumento dei prezzi delle materie prime importate ha annullato nell’inverno 2022 il surplus di bilancia commerciale dell’Italia, trasformandolo in deficit.5.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico riporta mensilmente il saldo negli ultimi quindici anni della bilancia commerciale (saldo tra esportazioni e importazioni di beni e servizi). I valori, sono destagionalizzati e espressi in milioni di euro correnti.

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Riserve in valuta estera

Dal 1990 al 2007 il valore nominale delle riserve valutarie italiane è oscillato in valore nominale tra 50 e 100 miliardi di dollari, per poi salite a 182 miliardi nel 2012, calare a 131 miliardi circa nel 2015 e poi risalire fino al massimo storico di 227 miliardi nel 2021. In termini reali invece il valore delle riserve in mesi di esportazioni si è ridotto da 4,3 mesi nel 1990 a 1,5 nel 2008, risalendo poi fino a 4,7 mesi nel 2020 e 4 mesi nel 2021.

5.3 Dati Banca Mondiale

Nota esplicativa: Il grafico riporta il valore delle riserve in valuta estera dell’Italia, sulla base di dati annuali della Banca mondiale. Sono riportati sia il valore nominale in miliardi di dollari correnti delle riserve italiane (incluso il valore delle riserve in oro detenute dalla Banca d’Italia), che il suo equivalente misurato in mesi di importazioni al valore corrente, misura che tiene conto dell’andamento dei prezzi delle esportazioni.

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Posizione netta sull’estero

Dal 1999 al 2014 la posizione dell’Italia è stata di debitore nei confronti del resto del mondo, con tendenza al peggioramento, con un debito salito da circa il 5% del PIL al 25% del PIL. Successivamente, grazie ai forti surplus commerciali del paese, il debito estero si è rapidamente ridotto ed è diventato un surplus a partire dalla fine del 2020, toccando nel secondo trimestre del 2022 un credito nei confronti del resto del mondo, pari al 5,7% del PIL.

5.4 Dati Banca d’Italia

Nota esplicativa: Il grafico riporta la posizione netta sull’estero dell’Italia, sulla base di dati trimestrali della Banca mondiale. Quando il grafico ha un valore negativo l’Italia si trova in una posizione di debito netto nei confronti dell’estero, mentre il valore positivo significa che l’Italia è un creditore netto rispetto al resto del mondo.

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6 Investimenti, risparmio e patrimonio

Investimenti comparati con l’UE

Tra il 2000 e il 2007 gli investimenti pubblici e privati in Italia in percentuale del PIL sono cresciuti raggiungendo il 22% del PIL, pur risultando inferiori alla media Ue (oltre il 23%). Tra il 2008 ed il 2009 la crisi finanziaria internazionale ha determinato una caduta degli investimenti in Italia leggermente meno intensa rispetto al resto dell’Europa, seguita da una parziale e temporanea ripresa. Con la crisi del debito europeo e la seconda recessione tornano a calare ulteriormente gli investimenti nel 2011, scendendo al 17% del PIL nel 2013, allargando nuovamente il divario rispetto alla media europea. La successiva ripresa degli investimenti è stata limitata, e nuovamente invertita nel 2019-2020, con un gap di quasi otto punti di PIL rispetto alla media europea.

6.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati del FMI.

Nota esplicativa: Il grafico confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del PIL destinata agli investimenti pubblici e privati in Italia e nell’Unione europea.

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Risparmi comparati con l’UE

Il risparmio italiano, nei primi anni 2000, è inferiore a quello della media Ue, oscillando tra il 20% e il 21% del PIL. Tra il 2007 e il 2010 il risparmio nazionale cala al 17% per effetto della crisi finanziaria internazionale, diventando significativamente più basso della media europea. Dopo l’inizio della seconda recessione il tasso di risparmio ricomincia a salire. Il recupero del tasso di risparmio in Italia ha sostanzialmente permesso di tornare ai livelli di risparmio pre-crisi, ma ha solo parzialmente ridotto il divario apertosi rispetta alla media europea6.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati del FMI.

Nota esplicativa: Il grafico confronta con dati annuali l’evoluzione della quota del Pil destinata ai risparmi lordi in Italia e nell’Unione europea.

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Risparmi e investimenti in Italia

All’inizio degli anni duemila il tasso di risparmio e di investimento pubblico e privato erano sostanzialmente allineati in Italia, la crescita della quota di investimenti fino al 2007 non è stata accompagnata da una crescita proporzionale dei risparmi, rimasti sostanzialmente costanti. Con la prima recessione (2008-2009) i risparmi sono calati più fortemente degli investimenti, che hanno resistito meglio. Durante la seconda recessione invece si è registrato un nuovo calo degli investimenti, mentre aumentava il risparmio precauzionale. Dal 2013 i risparmi sono tornati maggiori rispetto agli investimenti ma ad un livello più basso per entrambi rispetto a quello pre crisi.6.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati del FMI.

Nota esplicativa: Il grafico confronta l’evoluzione della quota del Pil italiano destinata rispettivamente agli investimenti privati e pubblici e al risparmio lordo.

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Patrimonio lordo delle famiglie

La ricchezza delle famiglie italiane, ripartita prevalentemente tra abitazioni, attività finanziarie e altre attività reali, è caratterizzata da un andamento crescente negli anni 2000. Il valore del patrimonio detenuto dalle famiglie sotto forma di abitazioni aumenta fino al 2011, anno della seconda recessione, a seguito del quale comincia a calare lievemente in termini nominali e in maniera più sensibile in termini reali. La componente detenuta in attività finanziarie arresta la sua crescita già a partire dal 2007, a causa dei ripetuti crolli delle quotazioni nei mercati azionari, ma riprende a crescere nel 2012 con il recupero degli indici di borsa6.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia.

Nota esplicativa: Il grafico mostra per anno l’evoluzione principali categorie dello stock di ricchezza detenuto dalle famiglie italiane (al lordo dello stock di debiti) cioè abitazioni, attività finanziarie e altre attività reali, in milioni di euro. I dati sono espressi a prezzi correnti e provengono dalla Banca d’Italia.

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Investimenti pubblici in Italia e nella zona euro

La spesa totale in conto capitale in Italia è stata superiore alla media dell’area euro dal 2000 fino al 2008. Dal 2010 le politiche di contenimento della spesa pubblica hanno comportato una maggiore riduzione della spesa in conto capitale rispetto alla media UE. Il divario tra le due aree è spiegato soprattutto dall’andamento della componente degli investimenti. Dal 2018 sono tornati ad aumentare gli investimenti ed è aumentata anche la spesa totale in conto capitale, grazie a misure sia ordinarie che straordinarie. Il PNRR contribuirà in maniera significativa all’aumento della spesa pubblica per investimenti.6.5 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Banca d’Italia e a legislazione vigente NADEF di novembre 2022.

Nota esplicativa: Il grafico confronta i dati relativi all’Italia con quelli dell’area euro. Il grafico mostra l’evoluzione della spesa per investimenti in senso stretto (l’altra principale componente sono i trasferimenti in conto capitale). Gli investimenti riguardano la creazione di capitale fisso composto da beni materiali e immateriali destinati ad essere utilizzati nei processi produttivi per un periodo superiore ad un anno.

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Investimenti nelle infrastrutture ferroviarie

La spesa per investimenti ferroviari di RFI è fortemente cresciuta all’inizio degli anni duemila, soprattutto a causa della realizzazione della linea ad alta velocità Milano-Napoli, toccando una spesa massima di 6,6 miliardi di euro nel 2004, di cui 4,1 dovuti alla linea Milano-Napoli. Successivamente il progressivo completamento di quella linea e le politiche di contenimento della spesa pubblica hanno portato ad un ridimensionamento drastico degli investimenti ferroviari, fino ad un minimo di 2,7 miliardi nel 2012. Successivamente gli investimenti sono risaliti fino a 4,8 miliardi nel 2018, dopo una ripresa degli stanziamenti pubblici.

6.6 Fonte: Elaborazione DIPE su dati della Relazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al Parlamento sullo stato di attuazione al 31 dicembre 2020 del contratto di programma MIT-RFI S.p.A..

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione della spesa effettivamente realizzata da Rete Ferroviaria Italia S.p.A. per la realizzazione di investimenti previsti nei Contratti di programma siglati con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia per la parte Servizi che per quella investimenti. I dati sono in miliardi di euro correnti e sono forniti sia aggregati che disaggregati tra le spese per la rete convenzionale e ad alta capacità che per il maggiore investimento ferroviario degli anni 2000, la linea ad alta velocità Milano-Napoli-Roma. Per il 2013-20 viene anche indicato separatamente il dato sulla manutenzione straordinaria.

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7 Reddito pro capite e povertà

Evoluzione del reddito pro capite

Il reddito pro capite è cresciuto nell’Ue in Italia fino al 2007. Dopo tale data è cominciata una fase di crisi economica con una prima contrazione del reddito pro capite nel 2008-2009, seguita da una ripresa nel 2010-11 e da un nuovo calo del reddito pro capite in Italia e nella zona euro, mentre nell’UE nel suo insieme il redito pro capite è rimasto stazionario nel 2012-13, rimanendo comunque in media ad un livello più basso rispetto al 2007. Nell’insieme il reddito pro capite italiano è cresciuto meno della media UE e della zona euro nel periodo di crescita si è ridotto maggiormente nei periodi di recessione. Il reddito pro capite italiano era più alto della media UE nel 1995 e anche dei futuri paesi membri della zona euro, mentre dal 2013 è diventato inferiore ad entrambe le zone, continuando a divergere

7.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Eurostat.

Nota esplicativa: Il grafico confronta i dati relativi al reddito pro capite in euro (misurato in termini di PIL pro capite) in Italia con quello medio dell’area euro e dell’Unione europea a 28 membri. I dati non sono espressi a prezzi correnti ma in funzione dei volumi concatenati.

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Quota di popolazione in povertà assoluta per aree geografiche

La stima ISTAT mostra un lento aumento dell’incidenza della povertà assoluta in Italia nel 2007-2010 (dal 3,5% al 4%) e un’accelerazione nel 2011-13, con un picco del 6,3% delle famiglie italiane in povertà assoluta. Nel 2014 si manifesta un primo ridimensionamento dell’incidenza della povertà assoluta che scende al 5,7% ma ri-aumenta, con fluttuazioni negli anni successivi, raggiungendo il 7% nel 2018. Il centro e il nord sono caratterizzati da un andamento analogo al dato nazionale, ma con livelli di povertà assoluta inferiori rispetto alla media nazionale di 1-2 punti percentuali. Il Mezzogiorno invece ha un livello maggiore di povertà assoluta, il quale cresce più che proporzionalmente rispetto al resto d’Italia dal 5,1% del 2010 al 10,1% del 2013, per poi scendere temporaneamente e risalire, tornando nel 2019 all’8,6%. Nel 2020, l’incidenza della povertà assoluta è cresciuta in tutta Italia in parallelo al calo del PIL dovuto al Covid e si è leggermente ridotta nel 2021, ma solo nel Nord.

7.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT.

Nota esplicativa: L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia. Questa varia a seconda del numero di componenti della famiglia, della loro età, della localizzazione geografica e della tipologia di comune in cui vivono e dell’anno di riferimento.

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Quota di popolazione in povertà relativa per aree geografiche

7.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT.

Nota esplicativa: L’incidenza della povertà relativa viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. Tale valore si modifica solo in funzione del numero di componenti del nucleo familiare (e, contrariamente alla povertà assoluta, non è differenziata per zona geografica, dimensione del comune di residenza o età dei componenti del nucleo familiare).

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I diversi livelli di povertà assoluta per numero di figli minori e anziani in famiglia

La stima ISTAT registra dal 2005 ad oggi un aumento dell’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con figli minori, particolarmente accentuata per le famiglie con 3 e più figli e un calo dell’incidenza della povertà assoluta nelle famiglie con un anziano e un modesto aumento nelle famiglie con due o più anziani, che tuttavia è ora diventata la tipologia di famiglia a minor incidenza di povertà assoluta (4,5% rispetto al pico del 26,8% delle famiglie con tre o più figli minori nel 2016). Nel 2021 l’incidenza della povertà in famiglie con 1 o 2 anziani era attorno al 5%, per quelle con 1 figlio al 8,1%, con 2 figli minori era del 14% e del 22,8% in presenza di tre o più figli minori.7.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ISTAT.

Nota esplicativa: L’incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia. Questa varia a seconda del numero di componenti della famiglia, della loro età, della localizzazione geografica e della tipologia di comune in cui vivono.

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8 Economia reale

Immatricolazioni nuove autoveicoli

Il numero di autovetture e autoveicoli totali di prima iscrizione all’ACI ha mostrato un andamento altalenante, con una leggera tendenza alla crescita tra il 2000 e il 2007, per poi subire un collasso di circa il 50% tra il 2007 e il 2013. La successiva ripresa dal 2014 al 2017 ha permesso di recuperare circa il 60% del numero di veicoli persi nel periodo precedente. Nel 2020, a causa della Pandemia di Covid-19 la vendita totale di veicoli nuovi di fabbrica è calata del 23,4% e quella delle autovetture nuove di fabbrica è calata del 26,1%. Nel 2021 vi è stata una modesta ripresa.8.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati ACI.

Nota esplicativa: Il grafico mostra il livello di nuove iscrizioni di veicoli in Italia dal 2000 ad oggi utilizzando i dati ACI relativi sia alle autovetture che a motocicli, autobus, camion e altri veicoli.

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Transazioni immobiliari

L’andamento del numero di transazioni mostra una forte crescita dal 2000 al 2007, un crollo superiore al 50% dal 2007 al 2013 e una limitata ripresa dal 2015 ad oggi, che ha riportato il numero di transazioni al livello dell’inizio degli anni duemila.

8.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico illustra l’andamento, fortemente oscillante in funzione della stagionalità, del numero di compravendite di unità immobiliari registrate con convenzioni notarili dal 1997 ad oggi.

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Produzione immobiliare

Il livello di attività edilizia in Italia è rimasto stazionario tra il 1995 e il 1999, poi ha conosciuto un forte aumento fino alla fine del 2006 e un crollo a partire dal 2008 fino al 2014. Tra il punto massimo raggiunto dall’indice a dicembre 2006 e il 2018, il livello di produzione è quasi dimezzato. Negli ultimi anni il livello di attività è rimasto stazionario, ai livelli minimi del secolo, senza ripresa. Nel 2020 la pandemia di Covid-19 ha portato ad una temporanea sospensione di gran parte dell’attività e una successiva ripresa, seguita da una fase di forte crescita sostenuta dagli incentivi pubblici.8.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione dell’attività della costruzione edilizia tramite l’indice Istat di produzione nelle costruzioni con dati mensili da gennaio del 1995 ad oggi. L’indice è a base 100 nel 2015.

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Turismo: visitatori complessivi nei musei e aree archeologiche statali

Il numero di visitatori è cresciuto da circa 25,7 milioni nel 1996 a 40,7 milioni nel 2014 e a 55,5 milioni nel 2018. Il gettito nominale ha avuto un aumento in valore assoluto leggermente più veloce, anche a causa degli effetti dell’inflazione, salendo da 52,7 milioni nel 1996 a 229,4 milioni nel 2018. Nel 2020-2021 la chiusura dei musei come misura di contenimento dell’epidemia e la sospensione del turismo internazionale hanno comportato un crollo del numero di ingressi.8.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Mibact-Ufficio Statistica, vari anni

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione del numero di visitatori e del gettito complessivo per i biglietti di ingresso ai musei statali ed aree archeologiche statali (che dunque non includono quelli comunali o regionali) dal 1996 al 2021.

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Turismo: visitatori nei maggiori musei e aree archeologiche statali

Il sito più visitato è diventato il sito archeologico integrato romano “Colosseo, Foro Romano e Palatino”, passato da 1,4 milioni di visitatori complessivi nel 1996 (quando le tre sedi avevano biglietti separati) a 7,7 milioni nel 2018. Pompei è nel 2018 il secondo sito più visitato con 3,6 milioni di ingressi, rispetto a 1,9 milioni nel 1996. Seguono gli Uffizi-Corridoio vasariano, cresciuti da 1,2 a 2,2 milioni di visitatori tra il 1996 e il 2018. Nel 2020-21 la chiusura dei musei come misura di contenimento dell’epidemia e la sospensione del turismo internazionale hanno comportato un crollo del numero di ingressi.

8.5 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Mibact-Ufficio Statistica, vari anni.

 Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione del numero di visitatori nei maggiori musei e siti archeologici statali in Italia dal 1996 al 2021, secondo i dati del MIBACT.

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Traffico ferroviario, passeggeri e merci trasportate

Il traffico di passeggeri via treno è cresciuto in maniera sostanzialmente ininterrotta dai 728 milioni di passeggeri del 898 milioni nel 2019, con leggera stasi nel 2006, 2009 e 2016-2017, successivamente superata. L’andamento del traffico merci invece ha conosciuto una forte crescita fino al 2007 e ha poi risentito delle crisi economiche del 2008-2009 e in minor ragione del 2011-2013, seguite da una ripresa nel 2010-2011 e nel 2014-2018, senza tuttavia aver ancora recuperato il picco del 2007, come conseguenza dell’andamento della produzione e dei consumi di merci in Italia. Nel 2020 gli effetti del Covid-19 hanno colpito il settore del trasporto ferroviario passeggeri con un calo del 57% circa e in maniera molto più limitata quello del trasporto merci.

8.6 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat, vari anni.

 Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione del numero di passeggeri e del volume merci, in tonnellate traportate via ferrovia in Italia dal 2004 ad oggi, secondo i dati annuali dell’ISTAT.

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Trasporto aereo, passeggeri e merci

Il traffico di passeggeri via aereo è cresciuto in maniera sostanzialmente ininterrotta dai 91,5 milioni di passeggeri del 2000 ai 192,9 milioni nel 2019, con leggera stasi nel 2008- 2009 e 2012-2013, successivamente superata. L’andamento del traffico merci via aerea invece ha conosciuto una forte crescita fino al 2007, passando da 749 miliardi di tonnellate nel 2000 a 969 miliardi, e ha poi risentito delle crisi economiche del 2008-2009 e in minor ragione del 2011-2013, seguite da una ripresa da un minimo di 750 miliardi di tonnellate nel 2009 ad un picco di oltre 1,100 miliardi nel 2017, con un seguente relativo calo. Nel 2020 gli effetti del Covid-19 hanno colpito il settore del trasporto passeggeri con un calo del 72% circa e in maniera molto più limitata quello del trasporto merci.8.7 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat, vari anni.

 Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione del numero di passeggeri e del volume merci, in tonnellate traportate via aerea in Italia dal 2000 ad oggi, da e per tutti il mondo, inclusi i voli di linea e charter, interni e internazionali, secondo i dati annuali dell’ISTAT.

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Variazione durante la pandemia del traffico autostradale ASPI e aeroportuale ADR

Durante i primi mesi della pandemia il traffico passeggeri gestito da Aeroporti di Roma si è ridotto fino ad un picco del -98,7% della sedicesima settimana del 2020, con una limitatissima ripresa del traffico fino alla primavera del 2021. A fine settembre 2021 veniva ancora registrata una perdita traffico aereo passeggeri del 59,7% rispetto al corrispondente periodo del 2019. Le perdite sul traffico passeggeri autostradali di ASPI sono risultate leggermente meno intense nella fase più critica della sedicesima settimana del 2020, con un -84,3%, ma sono tornate poco sotto il livello pre-crisi nell’estate del 2020, con un -3% nella 36° settimana dell’anno. Tuttavia nell’autunno e nell’inverno successivo con la seconda ondata della pandemia le perdite di traffico sono aumentate nuovamente ed hanno oscillato tra il -20% circa e il -50%. Nell’estate 2021 il traffico autostradale si è normalizzato ed ha superato i livelli del 2019.8.8 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Atlantia

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione, dall’inizio della pandemia di Covid fino a settembre 2021, del numero di passeggeri traportate via aerea da Aeroporti di Roma (ADR), Fiumicino e Ciampino dal 2000 ad oggi, e del numero di chilometri percorso da automezzi passeggeri sulla rete di Autostrade per l’Italia. I dati sono settimanali e indicano il tasso di variazione rispetto alla corrispondente settimana del 2019, che rimane il riferimento più recente prima dell’avvio della pandemia.

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9 Popolazione

Proiezioni ISTAT sull’evoluzione della popolazione in Italia

La popolazione residente in Italia è aumentata dal 1960 al 1980 a velocità sostenuta per poi sostanzialmente fermarsi nel ventennio successivo e riprendere a crescere a causa dell’immigrazione dall’inizio degli anni 2000 fino al 2014. Ha poi cominciare a ridursi in valore assoluto per la prima volta in tempo di pace nel 2015-2022 dal 60,8 milioni a 58,9 milioni. La proiezione mediana dell’Istat suggerisce una riduzione della popolazione da 58,9 milioni nel 2022 a 56,4 milioni nel 2040 e a 47,6 milioni nel 2070, calo prevalentemente concentrato nel Mezzogiorno. Lo scenario alto prevede un calo della popolazione a 54,9 milioni nel 2070 basso un forte riduzione della popolazione fino a 41,1 milioni nel 20709.1 Fonte: Elaborazione DIPE su dati e proiezioni Istat.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione della popolazione complessiva residente in Italia secondo i censimenti condotti dal 1861 al 2011 (italiani e stranieri), come ricostruita dall’Istat. Dal 2020 vengono riportate nel grafico tre scenari previsionali demografici sviluppati nel 2021 dall’Istat fino al 2070, con la mediana quale valore centrale, oltre a due scenari alto e basso nell’intervallo di confidenza del 90% rispetto allo scenario mediano.

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Numero di nati e morti in Italia

Il numero di nati è calato in Italia dal picco di 1.035.000 nel 1963 ad un minimo di 526.000 nel 1995, risalendo ad un massimo di 575.000 nel 2008. Dal 2008 il numero di nuovi nati a ricominciato a calare velocemente, raggiungendo nel 2021 un minimo assoluto di 399.000, il più basso livello della storia dell’Italia unita. Il numero di morti è andato crescendo lentamente in parallelo al processo di invecchiamento della popolazione. Il saldo naturale tra nati e morti era positivo era positivo fino al 1992, leggermente negativo dal 1993 al 2003, sostanzialmente equilibrato dal 2004 al 2009 e poi fortemente negativo, con una prevalenza delle morti sulle nascite. Nel 2020 l’aumento della mortalità dovuta all’epidemia di Covid, associata ad un’accelerazione del calo della natalità ha portato l’eccesso di morti sulle nascite a circa 342,000 unità, cifra superata solo nel1918 per l’effetto congiunto della prima guerra mondiale e dell’epidemia di “influenza spagnola”. Anche nel 2021 le morti hanno superato le nascite di 310.000 unità.9.2 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’evoluzione del numero assoluto di nati vivi e di morti in Italia dal 1980 al 2018.

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Tasso di fecondità in Italia

Il tasso di fecondità è aumentato per le donne italiane dal 2002 al 2008 da 1,21 figli per donna in età fertile a 1,34, e poi si è ridotto, scendendo a 1,21 nel 2018 e risalendo a 1,22 nel 2020. Il tasso di fecondità complessivo (italiane e straniere) è aumentato fino al 2010, da 1,27 a 1,46. Dal 2010 al 2020 si è ridotto nuovamente il tasso di fertilità complessivo a 1,24 figli per donna, con un modesto aumento 1,25 nel 2021. Il tasso di fecondità delle madri stranieri si è ridotto ancor maggiormente, dal 2,79 del 2006 all’1,89 del 2020.

9.3 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’andamento del numero medio di figli per donna in età fertile, convenzionalmente definita tra i 15 e i 49 anni, in Italia. Il tasso di fecondità delle madri italiane è leggermente più basso di quelle medio per l’Italia, poiché le donne straniere registrate all’anagrafe in Italia hanno un tasso di fecondità più alto, sebbene anch’esso in calo.

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Tasso di fecondità per distribuzione territoriale

Il tasso di fecondità è aumentato fortemente nel 1999-2010 nel Nord, che è diventata la zona del paese con il più alto tasso di fertilità. Si è poi registrata una riduzione del tasso di fertilità al Nord da 1,52 figli per donna nel 2010 a 1,27 nel 2020, con un modesto recupero a 1,28 nel 2021. Il Centro ha avuto un andamento simile al Nord fino al 2009, con un calo maggiore negli anni successivi, convergendo verso i comportamenti riproduttivi del Mezzogiorno, ma meno intenso, mentre il Mezzogiorno non ha conosciuto significativi aumenti prima del 2010 e invece ha subito anch’esso un calo consistente nel 2009-2021, scendendo da 1,38 a 1,24 figli per donna nel 2021.9.4 Fonte: Elaborazione DIPE su dati Istat.

Nota esplicativa: Il grafico mostra l’andamento del numero medio di figli per donna in età fertile, convenzionalmente definita tra i 15 e i 49 anni, nel Nord, Centro e Mezzogiorno d’Italia.

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